I PIR: Piani Individuali di Risparmio

Pubblicato il 04/12/2017 - Cataldo D'Introno
A quasi un anno dalla loro nascita, i Piani Individuali di Risparmio (PIR), che puntano a raccogliere 10 miliardi di euro fino alla chiusura del 2017, sono oggi i protagonisti indiscussi del mercato italiano.

In quest’articolo cercheremo di analizzare le loro caratteristiche discutendone i vantaggi e degli svantaggi che offrono all’investitore.

Partiamo col dire che i Piani individuali di Risparmio vengono introdotti agli inizi del 2017 con la legge di bilancio dell’11 dicembre 2016, n. 232. Sono il risultato di un lungo percorso iniziato nel 2013 attraverso le linee guida europee enunciate nel Green Paper “Long-TermFinancing of the European Economy”.

All’interno del Paper è possibile individuare sia a livello comunitario che nazionale obiettivi comuni come: la crescita del sistema imprenditoriale, la spinta del risparmio verso investimenti stabili e duraturi e il coinvolgimento di canali di finanziamento alternativi, oggi in pieno monopolio degli istituti creditizi.

Come raggiungere questi obiettivi?

Per spingere le masse dei risparmi verso quello che è un vero e proprio finanziamento dell’economia reale, sul fronte italiano, si è concesso al PIR di avere agevolazioni fiscali sugli eventuali utili derivanti dall’investimento stesso (capital gain).

Nello specifico il sottoscrittore ha la possibilità di non vedersi tassare, nella misura del 26%, il capital gain e di non dover sostenere, in aggiunta, le spese successorie.

Il vantaggio derivante dal PIR si configura quindi come un abbattimento dei costi fiscali che permette di avere introiti netti uguali a quelli (lordi) che si avrebbero con un investimento non PIR Compliant.

In sostanza il PIR unisce l’opportunità di confluire masse di risparmio verso l’economia reale del nostro Paese attraverso un incentivo fiscale.

Come percepire “l’ulteriore guadagno”?

L’abbattimento delle imposte, considerato come un ulteriore guadagno sull’investimento, è concesso solo ed esclusivamente nell’osservanza dei seguenti vincoli:

  • Investitore: un PIR può essere sottoscritto esclusivamente da una persona fisica, residente in Italia, che non svolga attività di impresa commerciale.
  • Capitale destinabile: è concesso un investimento minimo iniziale di 500 € con un massimo annuo sottoscrivibile per ciascun soggetto di 30.000 €, replicabile per cinque anni. Il tetto massimo nel quinquennio ammonta quindi a 150.0000 €.
  • Asset class dell’investimento: il 70% del valore complessivo del PIR deve essere investito in strumenti finanziari (quote di OICR, azioni e obbligazioni sia quotate che non) emessi da imprese residenti in Italia o imprese europee non residenti, ma con una stabile organizzazione in Italia (UE o SEE). L’attività svolta dalle società deve essere diversa da quella immobiliare.
  • Del 70 il 30% (21% del totale) deve essere destinato in strumenti finanziari, sempre emessi da società italiane, ma diverse da quelle annoverate nel Ftse Mib o altri indici equivalenti. La parte restante dell’investimento può essere allocata in qualsiasi altro strumento finanziario (derivati, liquidità etc...). Il legislatore concede un margine di flessibilità sull’aspetto composizione-tempo, infatti si richiede che l’asset class sia rispettata per i 2/3 di ogni anno solare di attività.
  • Concentrazione dell’investimento: per rispettare il principio della diversificazione, il patrimonio non può essere investito oltre il 10% in strumenti finanziari appartenenti allo stesso emittente o società del gruppo.
  • Holding Period (lock up): l’investimento deve essere mantenuto per un periodo minimo di cinque anni, tale orizzonte temporale permette di evitare azioni speculative e di garantire alle imprese risorse stabili per un periodo di tempo medio/lungo.

I PIR, inoltre, sono riconosciuti come strumenti finanziari che producono reddito di capitale, questo permette all’investitore di utilizzare l’effetto compensazione, cioè nel momento in cui dovesse registrarsi una minusvalenza questa può essere recuperata con successive plusvalenze e/o con quelle di cui alle lettere c-ter) e c-quater) dell’articolo 67 del TUIR, non oltre il quarto periodo di imposta successivo a quello di realizzo nell’ambito di un altro rapporto.

Quali gli aspetti nascosti?

Se tutto ciò rappresenta uno scenario idilliaco per il risparmiatore, è bene ribadire che per ogni investimento finanziario, in un’ottica razionale, è possibile riscontrare una quantità di rischi finanziari associata. In primis l’aspetto patriottico del PIR cela un alto rischio di concentrazione, infatti, il dover destinare quasi i ¾ dell’investimento, verso strumenti finanziari italiani, crea un’esposizione ad un considerevole rischio Paese. Ovviamente tale considerazione è vera nel momento in cui esaminiamo lo strumento in una logica di singolo prodotto.

Un ulteriore fattore da tenere in considerazione è l’esposizione azionaria, il PIR per sua natura tenderà ad essere più esposto sul comparto azionario, questo perché nel lungo periodo un azionario rende o dovrebbe, di più di un obbligazionario; aggiungendo poi l’holding period minimo di cinque anni, che diventa di dieci se si considera l’ultimo flusso in entrata al quinto anno. In definitiva il PIR vede di buon occhio la parte azionaria piuttosto che l’obbligazionaria, ne consegue un aumento diretto del rischio in portafoglio. Anche qui è ragionevole considerare tale aspetto in una logica di singolo prodotto.

Per le ragioni sopracitate e questa volta conducendo un ragionamento in una logica di multi prodotto, è opportuno tenere in considerazione la tipologia di clientela che andrà a sottoscrivere un PIR, se ad esempio considerassimo un cliente “High Net Worth” (HNW) o un “Affluent” per costoro, soprattutto per il primo, il problema della concentrazione o dell’esposizione non si pone, in quanto un massimo di 30.000 € annuo non sottopone il portafoglio a squilibri dell’asset class, viceversa, un cliente retail (ad esempio un piccolo risparmiatore privato) non sottoscriverà l’intero ammontare massimo annuo, ma analizzando la composizione di portafoglio, la quota di PIR verrà sottoscritta di conseguenza.

Non siamo soli!

Attenzione! I Piani Individuali di Risparmio non sono una novità sul mercato globale, essi, infatti, possono essere definiti dei “fratelli minori” dei PEA (Plan d’Eparagne en Actions) coniati nel lontano 1992 in Francia e degli ISAs (Individual Saving Account) sorti nel 1999 in Inghilterra.

Forme simili di tali strumenti è possibile riscontrarle anche fuori dall’eurozona, ossia in America con gli IRAs (Individual Retriement Account) e in Giappone, dove dal 2014 è possibile sottoscrivere un NISA (Nippon Individual Saving Account).

In chiave oggettiva

I Piani Individuali di Risparmio hanno un’ottima idea di fondo, essi possono essere composti o avvalendoci del risparmio amministrato (strada tortuosa per l’investitore medio) oppure con il gestito, sottoscrivendo un fondo di investimento PIR Compliant (90% di utilizzo).

È nel concreto però che l’idea potrebbe mutarsi in una trappola, su un mercato “vorace” e altamente concorrenziale, prima di crearne\sottoscriverne uno, è opportuno considerare ulteriori aspetti come quello commissionale, analizzando singolarmente le varie fee che vengono pagate dal sottoscrittore, così come la linea di gestione del fondo, evitando quelli che si discostano dalla nostra propensione al rischio. Non meno importante anche l’aspetto dei fondamentali delle aziende, le quali riceveranno i flussi di risparmio riversati sull’economia reale.

Da Cataldo D'Introno - Dottore in Banca e Finanza.