Un possibile ripensamento sulle metriche da adottare per le verifiche di adeguatezza

Pubblicato il 25/05/2020 - Emanuele Carluccio
L’impatto del Coronavirus sulle misure di VaR e di CVaR dei portafogli modello Quantalys

Abbiamo già avuto modo, con tre diversi contributi pubblicati nelle scorse settimane, sia di analizzare l’impatto del Coronavirus sulle misure di VaR e di CVaR fatte registrare dai singoli mercati presenti nelle asset allocation dei portafogli modello di Quantalys, sia di verificare come la stessa pandemia abbia influito sugli indicatori di VaR e di CVaR, a livello aggregato di portafoglio, prendendo in esame i portafogli modello n. 4, n. 8, n. 12, n. 16 e n. 20 della frontiera efficiente Quantalys. Si ricorderà, più in particolare, che, in quelle verifiche empiriche, il calcolo delle misure di VaR e di CVaR a livello aggregato di portafoglio è stato effettuato facendo ricorso al modello delle simulazioni storiche (su un orizzonte temporale di un giorno, rilevate sulle ultime 500 osservazioni e con un intervallo di confidenza del 99%), sia tenendo conto dell’effetto diversificazione, sia considerando il rischio complessivo di portafoglio come semplice media ponderata dei VaR e dei CVaR dei costituents del  portafoglio stesso. Nel primo caso, quello teoricamente più corretto, dopo aver ricostruito la serie storica dei rendimenti giornalieri del portafoglio come media ponderata dei rendimenti dei singoli mercati che lo pongono, si è proceduto all’individuazione del VaR e del CVaR all’interno di ciascuna finestra temporale. Una volta ordinate in senso decrescente (dalla peggiore alla migliore) le ultime 500 osservazioni dei rendimenti giornalieri del portafoglio, il VaR al 99% è stato individuato in corrispondenza della sesta osservazione peggiore, ossia in corrispondenza della perdita che il portafoglio nel suo complesso ha fatto registrare dopo aver escluso le altre 5 osservazioni ancora peggiori (ossia tralasciando di considerare l’1% dei casi che, grazie ad un intervallo di confidenza pari al 99%, è stato possibile escludere). Il CVaR, invece, è stato individuato calcolando la media proprio delle cinque osservazioni peggiori che eccedevano la soglia del 99%. Utilizzando questo metodo, si è notato come, a seguito della pandemia, tutti i portafogli modello della frontiera Quantalys, hanno subito una improvvisa impennata nei valori di VaR e di CVaR, con, più in particolare, questi ultimi che hanno sforato, tra il febbraio e l’aprile 2020, per  tutti i cinque portafogli presi in esame, le soglie stabilite ex ante (e tarate, come si ricorderà, su quanto accaduto sui mercati nel 2008).

Ciò che a questo punto può risultare interessante è andare a verificare come si siano mossi gli stessi cinque portafogli modello (la cui asset allocation viene riportata qui di seguito) all’interno del relativo cono a la Ibbotson, ossia all’interno di quel grafico che proprio la piattaforma Quantalys consiglia di utilizzare per far toccare con mano al cliente il trade-off rendimento-rischio che caratterizza il portafoglio strategico (o, se preferite, l’asset allocation di riferimento) che è stata abbinata al profilo di rischio del cliente stesso, cosi come definito in sede di questionario di profilatura.

 

I grafici di seguito riportati proiettano l’andamento effettivo del montante fatto registrare dai cinque portafogli modello scelti sulla frontiera Quantalys per coprire i 5 diversi cluster di rischio della clientela sull’arco temporale 1.1.2018-24.4.2020, in modo tale da risultare perfettamente coerenti con le analisi svolte sui VaR e CVaR dei portafogli stessi. Il cono raccoglie al suo interno il 90% degli eventi lasciando, rispettivamente, al di sopra e al di sotto della linea superiore ed inferiore il 5% di ulteriori casi, considerati estremi. Il livello di confidenza di queste analisi, quindi, diversamente da quelle effettuate nelle settimane scorse,  è pari al 95%, in quanto i casi che si ritiene di poter non considerare sono quelli che si manifestano non più solo nell’1% degli scenari estremi ma nel 5% degli scenari estremi.

Come si noterà, nonostante, come era ovvio attendersi, nel passaggio dal febbraio al marzo 2020, i montanti di tutti i portafogli facciano registrare – chi più, chi meno - un crollo repentino, l’evoluzione grafica del portafoglio del cliente rimane all’interno di quel cono che, in sede di proposta iniziale, aveva costituito il patto tra il consulente ed il cliente andando a presentare, in una logica ex ante, l’ampiezza delle possibili oscillazioni che, sia nel bene, sia nel male, il portafoglio avrebbe potuto subire.

Il solo fatto che il cono di Ibbotson costringa sia il consulente, sia il cliente a ragionare su un orizzonte temporale più protratto (che beneficia, per forza di cose, dell’effetto della time diversification) e utilizzi un livello di confidenza (al 95%) decisamente più contenuto, ha consentito che non scattassero quei campanelli di allarme o, peggio ancora, che non si sforassero quelle soglie di adeguatezza imposte dai modelli basati sul VaR (o peggio ancora sul CVaR) al 99% con osservazioni giornaliere che, essendo nati come modelli di risk management per la quantificazione del rischio di mercato del trading book delle banche, poco, anzi molto poco, hanno a che fare con le logiche tipiche delle gestioni di portafoglio e/o del servizio di consulenza in materia di investimenti. Del resto, chi, come gestore o come consulente, ha dovuto vivere sulla propria pelle l’improvvisa non adeguatezza della stragrande maggioranza dei portafogli dei clienti registrata nei giorni immediatamente successivi al dilagarsi della pandemia, ha perfettamente compreso che, comunque, l’ultima cosa da porre in essere fosse il de-risking dei portafogli. Se, infatti, seguendo i segnali dei modelli di adeguatezza, avessero ridotto sensibilmente l’esposizione verso i risky assets per aumentare la componente di liquidità o di obbligazionario a breve termine, avrebbero portato la clientela a consolidare le perdite rinunciando definitivamente alla possibilità, molto concreta, di beneficiare, nelle settimane immediatamente successive, del rimbalzo dei mercati.

E’ indubbio, quindi, che l’eredità che gli effetti generati dal Coronavirus sui portafogli in gestione o in consulenza ci lasciano è quella di un invito pressante ad un ripensamento dei modelli e delle metriche di adeguatezza largamente diffusi soprattutto sul mercato italiano. Ciò che, a nostro avviso, merita una riflessione è il maggior ruolo da affidare, in sede di definizione dei diversi cluster di rischio in cui suddividere la clientela al termine del processo di profilatura, all’abbinata cliente-portafoglio strategico di riferimento più che cliente-livello di perdita massima tollerabile da monitorare su base giornaliera. Ciò che deve essere giudicato adeguato per il cliente è, infatti, il portafoglio che, con un elevato livello di probabilità, consente al cliente stesso di raggiungere l’obiettivo desiderato (quello che ha dichiarato di voler perseguire) al termine dell’orizzonte temporale prestabilito (quello che ha dichiarato di poter mettere a disposizione dell’investimento stesso). Solo sulla base di queste valutazioni, infatti, si può avviare il processo di pianificazione finanziaria e si può tentare, passo dopo passo, di  abituare la clientela a riflettere in termini di goal based investing; a nulla serve, in questa prospettiva, assillare i clienti con inutili, continue e preoccupanti quantificazioni di livelli di VaR o di CVaR che, sullo stile dei messaggi riportati sui pacchetti di sigarette, sembrano voler ricordare loro solo che “comprando risky assets potrebbero andare incontro al rischio di ridurre pesantemente il controvalore del loro patrimonio”.

Da Emanuele Carluccio Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all'Università di Verona - Docente senior della Sda Bocconi School of Management di Milano.